Serino è un paese pedemontano dell’Irpinia di circa 7000 abitanti diviso in 24 frazioni, che si trova ai piedi del Monte Terminio, la cui economia, storicamente legata alla montagna (dunque al bosco e alla produzione di castagne), è oggi in profonda crisi e che vive attualmente come paese satellite dei centri urbani maggiori di Avellino, Salerno e Napoli. Qui, alla fine degli anni ’80, dopo un declino provocato anche dagli effetti devastanti del terremoto irpino del 1980, sono nate nelle frazioni diverse associazioni, allo scopo di riattivare il carnevale tradizionale. In particolare, le frazioni più attive sono state due per il carnevale (e spesso in “frizione” tra loro): quella di S. Biagio (con l’associazione Ma.BI), alla quale si deve alla fine degli anni ’80 la prima ripresa del carnevale, e la frazione di Rivottoli (con l’Associazione RIVUS). Nella prima frazione, quella di S. Biagio, la locale associazione ha intrapreso negli anni anche la rivitalizzazione del Carnevale Morto, ma non si tratta dell’unico funerale al carnevale della zona. Sul piano urbanistico e demografico la caratteristica dell’area è infatti quella di avere un alto numero di frazioni, alcune delle quali nel tempo hanno ripreso (e a volte di nuovo abbandonato) il rito carnevalesco, con forme simili tra loro, ma alcune significative varianti. Ogni piccolo abitato tende quindi ad organizzare la propria mascarata e ad interpretare il carnevale a suo modo, non dipendendo da un’unica regia. Questo aspetto policentrico, ma interrelato, dà alla zona il carattere di una forte autonomia localistica e di “vicinato” che imprime una vitalità alle forme rituali e alla partecipazione della gente, ma accentua anche a volte la competizione ed i contrasti tra i vari soggetti.
Il “carnevale serinese” consiste nella cosiddetta mascarata, un corteo processionale accompagnato da una tarantella composto da una fila strutturata e da numerose maschere esterne, che ripropone in forme carnevalesche un corteo nuziale dove le diverse maschere legate tra loro da nastri colorati -tutte impersonate da uomini o ragazzi- ne rappresentano i personaggi. Numerose sono le forme rituali e processionali che il carnevale assume oggi a Serino, dove il rituale carnevalesco viene organizzato nelle frazioni di S. Biagio, Rivottoli, Canale e Ferrari come anche nei paesi vicini di S. Lucia e San Michele di Serino. E dove sono presenti numerose maschere “tradizionali” piuttosto elaborate, a cominciare dai cosiddetti belli (‘o cappiello), i componenti della fila che indossano un abito che comprende un grande cappello fatto di fiori di carta dal quale scendono lunghi nastri colorati, una camicia bianca con un gilet rosso (‘a cammisola) al quale sono appuntanti numerosi ninnoli augurali –‘e cimmeraglie- (cornetti, cìondoli, campanelli, etc.) e pantaloni alla zuava rossi o verdi. I belli hanno un vestito che ha nei colori una dominante rossa, verde e bianca e forse non è un caso che in cima al cappello ci sia un pennacchio che ricorda in tutto il pennacchio del cappello dei Carabinieri in alta uniforme. Apre la fila ‘o prim’ommo, un bello che ricopre un ruolo di guida della mascarata (porta la fila).Altri belli li troviamo anche nel corteo, insieme alle pacchiane (contadine appariscenti impersonate da uomini) e al Pulcinella, che chiude il corteo processionale insieme alla pacchiana. Fuori dal corteo nuziale ci sono: i brutti, che in genere sono ragazzi vestiti con maschere mostruose che agiscono da disturbatori del corteo processionale; la vecchia ‘o carnevale (o vecchiarella), interessante maschera doppia, che impersona una donna che porta sulle spalle un uomo che a volte è lo stesso Pulcinella; la zingara, con il volto coperto da una parrucca indossata al contrario, che chiede l’elemosina con il suo bambino sul ciglio della strada e soprattutto la maschera dell’impacchiatrice, interessante maschera impersonata da un uomo, abbigliato da donna, che tuttavia imbraccia un fucile (‘a scoppetta) dal quale spara “la polvere” (cipria o borotalco) ai passanti e che spesso gioca con la sessualità maschile nascosta sotto gli appariscenti costumi della pacchiana. Tutto intorno si muovono molte altre maschere che accompagnano il corteo, da quelle a carattere anticlericale e satirico (preti, cardinali, suore, ecc.), figure animalesche che richiamano l’ambiente del selvatico e della montagna (es. l’orso e il cacciatore) e numerose altre figure che vengono di volta in volta elaborate creativamente. La tarantella -che viene suonata da una banda di musicisti composta da clarino, tromba, trombone, sassofono, piatti, grancassa e rullante- sembra derivare da forme coreutiche e musicali di primo Ottocento; viene infatti definita localmente una tarantella “rossiniana” e il riferimento a Gioachino Rossini e al Barbiere di Siviglia è evidente anche nella maschera dei barbieri, un gruppo carnevalesco composto da numerosi giovani vestiti con camici bianchi e incappucciati che accompagnano la mascarata con giganteschi attrezzi da barbiere, disturbando i passanti e sottoponendoli a vere e proprie “aggressioni” carnevalesche che rasentano la violenza. Infine, di fondamentale importanza è la maschera degli sposi, protagonisti del corteo carnevalesco, anche questi uomini, scelti in base a particolari caratteristiche fisiche. Gli sposi – vestiti a nozze – in genere mettono in scena esilaranti duetti comici improvvisati, dove lo sposo esibisce ‘a scaletta (una grande scala di legno retraibile che lancia in alto durante il ballo, con la quale raggiunge le finestre più alte per una questua di finanziamento della mascarata) e la sposa regala mazzi di mimose ai passanti che in cambio offrono un obolo.
Foto di Alessandra Broccolini